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Comacchio

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Il nome potrebbe derivare dal greco ”kuma”: onda, attestato nella voce altomedioevale “cumaculum”: piccola onda, ma un’altra interpretazione lo riconduce a “commeatulus” : raduno di navi oppure di dossi, dato che la leggenda vuole che il paese sia sorto su 13 isolotti. La storia di Comacchio è legata all’evoluzione morfologica ed idrografica del Delta e dal progressivo avanzamento della linea costiera. Si ritiene che Comacchio sia diretta discendente della città etrusca di Spina. Questa cittadina ebbe origine da un insediamento fortificato (castrum) eretto lungo il fiume a protezione dall’area di influsso longobardo. Le prime evidenze archeologiche riguardanti il villaggio sono del VII—VIII secolo d.C. Per la sua posizione strategica, Comacchio divenne uno degli insediamenti più importanti dell’Alto Medioevo Italico, che contese alla nascente Serenissima, il controllo dei traffici adriatici e mediterranei.

Il “Capitolare di Liutprando” attesta l’esistenza nel VIII secolo di una comunità comacchiese dotata di sufficiente autonomia per stipulare a proprio nome accordi commerciali e daziari con il Regno Longobardo, per il passaggio sul Po delle proprie barche cariche di sale e “garum” (salsa di pesce di antica tradizione).

 

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, Comacchio entrò a far parte dell’Esarcato di Ravenna e poi del Regno Longobardo, come attesta il Capitolare di Liutprando, del 715 d.C. nel quale vengono descritte le norme e le tasse da pagare dai comacchiesi, per il commercio del sale nel Regno. In questo periodo la municipalità ha periodi di alternanza sotto l’influsso di Ravenna o sotto quello di Ferrara e sarà destinata a diventare parte del Ducato di Ferrara. Era sede vescovile già all’inizio del VIII sec. ed a conferma di ciò resta una lapide del 708 ed altre importanti realtà come il centro religioso di Santa Maria in aula Regia e la cattedrale dedicata a San Cassiano, edificata nel 708.

 

Carlo Magno dopo aver sconfitto e cacciato i Longobardi, donò la città lagunare alla Chiesa.
L’importanza strategica di Comacchio nella produzione e commercio del sale, fece scoppiare la guerra contro Venezia nell’866, conflitto che durò per secoli. Nel 932 il Doge Piero II inviava un esercito contro i Comacchiesi per punirli di una presunta ingiuria. Stando alle parole del cronista Giovanni Diacono, vissuto tra il X e l’XI secolo la violenza dell’attacco sarebbe stata terribile, non solo sull’abitato, ma anche sugli abitanti, con i sopravvissuti deportati a Venezia. Da questo momento in poi, del fiorente emporio che era diventato Comacchio, in prossimità delle foci del Delta Padano, non rimarranno che labili tracce nelle fonti scritte.

 

Nel 1325 gli abitanti di Comacchio fecero un atto di dedizione ai Duchi d’Este, che da quel momento governarono e gestirono i profitti delle Valli, mentre la produzione del sale continuava ad essere ostacolata da Venezia.

 

La forma attuale della città si ebbe a partire dal 1630 circa, per iniziativa della Santa Sede, che volle valorizzare lo sbocco a mare del ducato con ambizioni commerciali. La quasi totalità dei ponti di pietra, come il grandioso Trepponti ed altri edifici come la loggia in cui si immagazzinava il grano ed il colonnato dei Cappuccini, risalgono a questo periodo.

 

Le valli di Comacchio hanno sempre rappresentato la risorsa principale dell’economia locale e la loro gestione fu sempre al centro delle vicende storiche. Quando nel 1797 Napoleone si impadronì del paese e delle Valli, i cittadini si ribellarono, finché ottennero la firma del Rogito Giletti il 12 luglio 1797. Con questo documento la Repubblica francese vendeva alla cittadinanza tutte le valli ed ancora oggi si tratta dell’unico documento che sancisce la proprietà del Comune sulle valli. La gestione era difficoltosa: fenomeni di salsedine e morie di pesci costrinsero il Comune a rivolgersi alla Camera Apostolica, la quale, nel 1853 la affida al Ministero delle Finanze. Con la rotta del fiume Reno e la riduzione del pescato, il Governo cedette le valli al Comune, che dovette svolgere numerosi lavori di riassetto idrografico.

 

Avvicinandosi alla sua storia più recente, un momento importante per lo sviluppo di Comacchio e dei Lidi fu il ripristino della Romea. Il percorso era pressoché lo stesso di quello tracciato dai legionari romani e seguito dai pellegrini. Lo scopo era quello di facilitare le reciproche comunicazioni sulla costa adriatica, a vantaggio sia dei traffici del porto di Ravenna e quello di Venezia, ma anche delle campagne a ridosso del litorale accresciute lungo il delta padano, nel ferrarese e nel polesine, grazie alle recenti opere di bonifica.

 

Comacchio fu unita alla terra ferma all’inizio del 1800 e collegata a Ferrara solo con barche e postale, carrozza trainata da cavalli ancora per circa un secolo, fino a quando fu installata la linea ferroviaria tra Ferrara, Comacchio e Porto Garibaldi, nata nel 1901 ed ampliata fino a Porto Garibaldi nel 1911 (due locomotive da 160 cv due da 190 ed una da 90 con 14 vetture a cassa in legno per passeggeri. Nessuna sorpresa dunque se i viaggiatori stranieri durante il XVIII secolo, visitando l’Italia evitarono con poche eccezioni, di visitare Comacchio. Nel secondo Ottocento una gita da Faenza alle Valli Comacchiesi come la racconta Giuseppe Pasolini Zanelli- richiedeva almeno due giornate e mezzo di trasporto diversi.

 

Comacchio oggi è un piacevole centro abitato, in prossimità del Po e della Costa, famoso per le pescose valli, per i lidi e la sua grande storia.

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Il nostro territorio

Porta con sé una storia dalle origini antichissime, iniziata oltre 2500 anni fa. Una lunga tradizione marinara e una vera perla della gastronomia. Scopri la capitale del Bird Watching e benvenuto nel Parco Delta del Po.

Nell’età moderna al pari dei boschi e dei prati, le valli erano state privatizzate fino al punto da annullare l’antico diritto medioevale dello sfruttamento comunitario. Simili alle possessioni di villa, le valli erano divenuti luoghi di delizie e di passatempo per gentiluomini, proprietari e signori che vi praticavano la nobile arte della caccia. In quegli stessi luoghi dove i signori prendevano svago dalla vita cittadina, gli abitanti stentavano a sbarcare il lunario, costretti a ricorrere alla pesca di frodo. Dotati di particolare perizia nel maneggiare la fiocina, i pescatori di frodo erano abilissimi nella loro arte. La pratica della fiocinazione favoriva i poveri permettendo loro di sfamarsi quotidianamente e di guadagnare qualcosa dalla vendita del raccolto. Nelle pescherie si vendeva dunque anche pesce rubato che vi giungeva di notte poco poco alla volta, scampando agli impitosi sequestri delle guardie. Il contrabbando era tuttavia ben organizzato, non è raro trovare tra i verbali segnalazioni di “biroccie” contenenti sacchi di pesce clandestino nascosti tra la paglia.

I fiocinini non entravano in azione mai da soli: agivano in gruppo costituendo una specie di società clandestina, secondo la quale la pescagione era in comune e andava divisa anche tra coloro a cui la fortuna non arrideva. Le loro piccole e povere case dai grandi camini erano costruite con due ingressi, uno sulla via ed uno sul canale, particolare architettonico che permetteva ai fuggitivi inseguiti, di raggiungere l’abitazione con l’imbarcazione, di entrare dalla parte aperta sulla valle e di uscire da quella sulla strada cittadina, facendo perdere le loro tracce. Il contrabbando poteva anche contare della complicità fuori Comacchio dei contadini della zona, presso i quali i fiocinini trovavano rifugio per se stessi, le barche ed il pesce rubato: quando le guardie raggiungevano i poderi, seguendo spesso tracce vistose di anguille sparse per il terreno, perdute durante la fuga, perquisivano case e granai, trovando uomini, imbarcazioni, strumenti e ceste di pesce. Tra le due guerre la situazione delle famiglie dei fiocinini risulta talmente grama che avviene un fatto assurdo: mossi a pietà i sorveglianti della prigione, di notte, lasciavano i fiocinini incarcerati liberi di andare a pesca nelle valli e di portare pesci alle loro famiglie, facendo poi ritorno in carcere. La vicenda durò per qualche tempo, fino a quando non si destarono i sospetti di alcuni carabinieri che ripristinarono l’ordine.

Bande di fiocinini violavano continuamente la legge del 1854 dal ministro delle finanze Galli, al fine di reprimere il contrabbando di pesce che causava gravi danni allo stabilimento Camerale. Tra le proibizioni precisate: divieto di fabbricare e possedere all’interno delle case fiocine e reti da pesca, divieto di possedere imbarcazioni, regolamentazioni nel commercio e nella circolazione interna ed esterna del pesce, biglietti per pesce da regalo.

 

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La pesca delle anguille

Hanno dovuto parecchio affinare l’ingegno i pescatori delle Valli di Comacchio per arrivare a concepire il raffinato e infallibile sistema per catturare le anguille.
Nel corso del tempo hanno studiato ogni particolare della vita delle anguille: le abitudini, la morfologia, le esigenze vitali e le predilezioni per poterle pescare. Una vera e propria analisi del comportamento e perfino della psicologica animale che rende ancora più affascinante tale antica attività.

Tutto questo studio è confluito nel concepimento del lavoriero, uno strumento molto antico, ma ancora efficiente e fondamentale per la pesca di valle, che consente di catturare le anguille separatamente da cefali e altri pesci, durante le loro migrazioni a mare, stimolate dall’istinto riproduttivo. In pratica, si tratta di un manufatto formato da una serie di bacini comunicanti che agisce sul fatto che tutti i pesci di valle, in un certo periodo dell’anno, sentono l’istinto di emigrare verso il mare e viceversa di ritornare alla valle.

Il lavoriero li fa convergere in passaggi obbligati e li cattura, all’entrata ed all’uscita, in due fasi: nel primo sbarramento, a maglia più larga, restano impigliati tutti i pesci, tranne l’anguilla, che essendo più sottile riesce ad oltrepassarlo, ma viene bloccata al secondo sbarramento, caratterizzato da maglie più fitte.

A questo punto entravano in azione i vallanti che, con le loro ovoghe, raccoglievano le anguille e le deponevano all’interno delle bolaghe (contenitori di forma ovale in vimini). Una parte del pescato era destinato al commercio all’ingrosso e un’altra parte alla marinatura, un’altra tipica attività tramandata da lungo tempo.

 

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